Il romanzo di Matilda

Il primo romanzo storico che ripercorre la vita della Grancontessa Matilde di Canossa.

La vita, i lutti, gli amori, le lotte, la caduta, il riscatto, le violenze e le passioni della Grancontessa Matilde di Canossa, un romanzo storico che ricostruisce gli eventi fondamentali della sua vita attraverso l’infanzia, la giovinezza, la maturità e la vecchiaia, cercando di restituire tutta la potenza al personaggio a 900 anni dalla sua scomparsa. In uscita a luglio 2015.

mercoledì 15 aprile 2015

Eugenio Riversi e Matilde di Canossa

Eugenio Riversi, laureatosi a Bologna con il Professor Glauco Maria Cantarella, si è perfezionato con un dottorato di ricerca presso l’Università di Pisa sotto la guida del Professor Mauro Ronzani. È stato borsista dell’Istituto Italiano per gli Studi Storici “Benedetto Croce” e dell’Istituto Storico Germanico di Roma. È attualmente docente incaricato all’Istituto di Storia dell’Università di Bonn, dove da tre anni svolge attività di ricerca presso la cattedra del Professor Matthias Becher. Ha già pubblicato il volume La memoria di Canossa (Pisa 2013). A ottobre 2014 è uscito un nuovo saggio di Riversi sulla figura di Matilde di Canossa, pubblicato dalla Odoya Edizioni di Bologna. Ne parliamo con l'autore in questa intervista.

1) Nel suo saggio su Matilde di Canossa si parla di “decostruzione” del personaggio di Matilde: vista l’aura mitica che avvolge il personaggio, quale processo di ricerca ha seguito per cercare il nucleo, o i nuclei, di Matilde?

L’impostazione data alle mie ricerche, condotte negli scorsi anni principalmente sulla più importante fonte narrativa riguardante la contessa – la Vita Mathildis di Donizone – si basa sulla contestualizzazione delle testimonianze al fine di metterne in evidenza il più possibile l’alterità, cioè la diversità dei significati che esse veicolano rispetto al nostro universo di senso.
Si tratta da un lato di un’operazione assolutamente necessaria per lo storico; ma dall’altro – quando praticata riflessivamente – di un esercizio di consapevolezza interpretativa che si affina con la frequentazione delle teorie che la critica letteraria, l’antropologia, la sociologia, la filosofia hanno elaborato negli ultimi cinquanta, sessant’anni. Il confronto dei ricercatori con queste teorie ha comportato una svolta nella storiografia che ha condotto all’affermazione di un nuovo paradigma, quello della storia culturale.
Il riconoscimento dell’alterità attraverso la contestualizzazione favorisce una comprensione più ricca del senso di un’esperienza storica. E impedisce dunque l’appiattimento su identità semplificate come quelle che vengono prodotte ad esempio da processi di mitizzazione, che oggi peraltro si potenziano enormemente con i meccanismi della comunicazione mediatica e pubblicitaria. c’è il rischio – per ora lontano – della riduzione di Matilde ad un logo, come Hello Kitty.
Dunque le mitizzazioni di Matilde, che sono peraltro una realtà storica secolare giustamente meritevole di attenti studi, producono costantemente immagini semplificate: pia ‘paladina’ della riforma, ‘guerriera’, fondatrice di chiese o dell’Università di Bologna. Queste immagini, che riducono la complessità della sua figura storica, finiscono per mettere in ombra altri significati presenti nelle fonti, significati che magari al tempo erano più rilevanti. Ad esempio quelli delle pratiche liturgico-commemorative; oppure i valori della nobiltà guerriera cui Matilde come erede di una dinastia principesca apparteneva (i quali, essendo molto ‘maschili’, creavano per lei situazioni contraddittorie); oppure ancora il dissidio, nella ricca religiosità del tempo, tra vita attiva e contemplativa. Ad esempio, nel caso di Matilde, questo dissidio si concretizzò nella tensione tra la probabile propensione della contessa ad un modo di vita religioso o semireligioso, che avrebbe preso magari forme di tipo monastico, e l’elaborazione di una singolare concezione dell’impegno cristiano nei testi scritti per lei dagli uomini del suo stesso entourage. Una concezione caratterizzata tra l’altro dalla giustificazione della guerra intesa come forma di carità, in senso di ‘amore cristiano’. Matilde, la ‘quasi’ santa figlia di Pietro, la sposa di Cristo del Cantico dei Cantici è anche colei che secondo un’immagine del Vecchio Testamento ‘monda lieta le mani’ nel sangue dei suoi nemici. Ce lo dice un uomo di raffinata cultura che scrisse per lei, il vescovo di Lucca, Rangerio. E quest’ultimo aspetto è in linea con il contesto di allora in cui, come hanno mostrato storici del calibro di Jean Flori e Gerd Althoff, si stava costruendo un discorso sulla ‘guerra santa’, in particolare da parte dei papi riformatori e dei loro sostenitori.
Dunque, decostruire Matilde significa innanzi tutto mostrare, attraverso la contestualizzazione delle fonti che ci danno informazioni su di lei, la complessità del suo profilo senza cedere alla seduzione di immagini mitiche. Significa poi anche mostrare che queste fonti, quelle narrative/letterarie, ma anche quelle documentarie, sono rappresentazioni, cioè costruzioni, che hanno certo una coerenza, ma anche incongruenze o tensioni che possono essere proficuamente sollecitate. Queste incongruenze, che sono un punto di accesso privilegiato per comprendere i testi con cui abbiamo a che fare, erano generate tra l’altro proprio dalla complessità dell’identità e della posizione di Matilde. Una ‘realtà’ con cui gli specialisti della scrittura e del sapere del tempo  dovevano fare i conti per essere credibili.
Per compiere questa operazione ho quindi utilizzato come uno dei possibili reagenti a disposizione dello storico di oggi, cioè una teoria spiccatamente costruttivista, quella di ‘genere’ (con le relative categorie di identità e ruolo): così ho decostruito le costruzioni – chiedo scusa per il bisticcio – della sua figura. E al contempo si sono generati i nuclei tematici della biografia. Ma ovviamente tante altre impostazioni sono possibili.
Infine, vorrei accennare ad un terzo aspetto decostruttivo, più attualizzante, che si riavvicina alla modalità del mito.  La figura di Matilde è così evocativa che si presta ad un trattamento più verticale della sua tradizione, più decontestualizzante, proprio di un approccio artistico, letterario, filosofico e non storiografico. Ho riflettuto su questo aspetto insieme al mio amico Takeo Watanabe – un maestro delle immagini per sensibilità e consapevolezza, con cui da anni collaboro in un blog – e ne è scaturita la copertina del libro. Le tensioni e contraddizioni che risultano da un’analisi storico delle fonti letterarie sono lì  riproposte condensate in un’immagine artistica ‘attuale’, che ha un’altra retorica e un’altra forma di riferimento alla realtà rispetto al testo che segue.
Ma invito anche, per capire il movimento di pensiero che si è compiuto con il tentativo di decostruire Matilde a confrontare l’immagine della contessa di George Sullivan presente a p. 17 con quella di una generica principessa in trono realizzata da Réné Magritte, riprodotta a p. 27. Quest’ultima è un’eloquente intuizione filosofica, espressa per immagini, della decostruzione.

2) Come si concilia la scientificità e il rigore dello storico con la tentazione del “riempire i vuoti” umani ed emotivi di una figura come quella di Matilde?

Da una parte, riannodandosi quanto appena detto, le due cose non si conciliano. Lo storico sviluppa in principio una modalità di ricostruzione della realtà, basata sul riferimento ad altri testi o testimonianze, le fonti, come portatrici di informazioni che sono di volta in volta considerate tracce autorevoli e vincolanti di un’esistenza ‘passata’.  La dimensione specificamente emotiva, specie per periodi più antichi, ma non solo per quelli, è difficilmente registrata, iscritta com’è in primo luogo nell’essere psico-fisico degli attori che interagiscono con una situazione, con un’atmosfera. Solo un racconto ex-post può raccogliere questa dimensione, ma comprensibilmente, in maniera mediata.
In quest’ultimo caso è però possibile considerare le emozioni, nella loro comunicabilità, come parte del sistema culturale: esiste una addirittura una loro retorica. Ad esempio un ruolo rilevante nel comportamento sociale delle élite medievali, religiose e non, ha la manifestazione delle lacrime, che antropologicamente sono un segnale delle emozioni in determinate situazioni. Esso viene registrato da fonti medievali perché possiede valori sociali riconosciuti: ad esempio può avere una funzione nelle “regole del gioco” della mediazione politica.
Leggiamo ancora nell'opera principale del già citato Rangerio, che a Matilde è attribuito un pianto per la mediazione del perdono di Enrico IV a Canossa, un pianto che sarebbe stato superiore a quello di una donna. Non sappiamo in realtà se Matilde abbia veramente pianto, ma sappiamo che gli sono attribuite lacrime secondo un comportamento proprio delle donne mediatrici; tuttavia questa registrazione si accompagna ad una rappresentazione che sembra far supporre un giudizio negativo di questa manifestazione di Matilde. La ‘virile’, ‘amazzonica’ contessa – così in altri passi dello stesso Rangerio – è stata troppo indulgente in quel caso: è probabile un modo per dire indirettamente che la destinataria dell’opera ha fatto un’errata valutazione politica in quel frangente (così pensava l’autore alla fine degli anni ’90 del sec. XI). Che poi Matilde fosse stata in quella situazione commossa, compassionevole, impressionabile, che abbia assolto ai doveri di una ritualità politico-sociale o addirittura finto non lo sappiamo. Matilde o la sua confidente non l’hanno scritto da nessuna parte, nessun cameraman l’ha ripresa; e anche nel caso che queste evenienze si fossero date, non avremmo certezza piena su emozioni e stati interiori.
 Per quanto riguarda la dimensione più ampiamente ‘umana’ la situazione dello storico è ugualmente difficile. Con questa dimensione mi permetto di intendere l’appropriazione del senso delle esperienze di vita da parte di Matilde. Ecco non abbiamo fonti adeguate per comprendere come Matilde abbia interpretato certe azioni e situazioni in cui si trovò e come abbia fatto propri i significati religiosi oppure l’invito ad una ‘carità bellicosa’: respingeva la violenza? Era una sanguinaria? Oppure il suo atteggiamento vero l’uso della violenza era ancora diverso, immersa com'era in una società di maschi guerrieri? Sappiamo che durante la guerra che la vide coinvolta contro Enrico IV gli uomini di cultura che scrissero per lei la dipinsero preferibilmente con tratti veterotestamentari e più ‘marziali’; Donizone che parla in un contesto più tardo, la raffigura più neotestamentaria.
Tuttavia, proprio nelle singolarità o nelle fratture di simili rappresentazioni della contessa, presenti in queste fonti, troviamo uno spiraglio. Questi scrittori dovevano fare i conti con un ‘consenso’ di Matilde, committente o destinataria dei testi. La contessa poteva non essere d’accordo con i loro punti di vista, se si fossero troppo allontanati dal suo punto di vista. In questa fuga prospettica possiamo intravedere qualcosa della dimensione personale di Matilde, cioè di una sua possibile appropriazione di significati. Ma sono briciole.
Certamente l’esempio più rilevante è però quello del celebre motto: ‘Matilde, per grazia di Dio, se è qualcosa’. La continuità con cui dal 1077 fino alla morte fu usato nei suoi documenti, fa pensare ad un riconoscersi della contessa in quella formula. Tuttavia, quel che può far lo storico è sfogliare gli strati di significati scritturistici, diplomatistici e politici racchiusi in quella parola, ma non attingere a quella componente esistenziale che dovette esserci. Che ci fu, lo si può probabilmente supporre proprio dalla continuità dell’uso.
Per ritornare comunque al concetto iniziale, mi piace menzionare come esempio di quello che uno storico a partire delle fonti non può e non deve fare, ma che invece il letterato può fare, un’opera letteraria contemporanea, le Memorie di Adriano di Marguerite Yourcenar. In questo straordinario romanzo biografico vediamo proprio come la trama delle informazioni delle fonti sull'imperatore romano Adriano sia stata integrata dalla rappresentazione delle emozioni dell’individuo, nella loro dimensione anche corporea, e dal senso della vita, come appropriazione delle esperienze, come ricordi. Quel senso è invece perduto per lo storico: è impossibile sapere cosa Matilde, gravemente malata, provasse nel suo ultimo trasferimento da Bondeno a San Benedetto Polirone, pochi mesi prima di morire. Quale folla di ricordi l’ha imprigionata? O giaceva nel trasporto in stati di non piena coscienza?

3) La figura della Grancontessa sembra quasi più celebre e conosciuta all’estero che in Italia: secondo lei quale può essere la motivazione sottesa?

Non credo che sia proprio così. Penso che Matilde di Canossa sia molto conosciuta in Italia, e credo più che in altri paesi.
La contessa, in quanto si tratta di una sorta di ‘figura del ricordo’ (Ian Assmann), appartiene a tutta la memoria culturale occidentale perché il suo personaggio è associato ad un racconto importante sul medioevo come rovescio della modernità, quello fa dell’incontro di Canossa il luogo della separazione tra stato e chiesa. Una grande narrazione, affermatasi dall’Ottocento, ma inverificabile e troppo riduttiva. Il fatto che poi si tratti di una donna a rivestire un ruolo in quella situazione così rilevante per la mitologia chiaroscurata del moderno, aumenta ancora l’effetto di risonanza di cui gode la sua figura nella cultura  europea e americana.
Detto questo, l’osservazione sottesa alla domanda va forse declinata in un senso diverso, come una questione di percezione. In altri paesi e – penso soprattutto a quelli di lingua inglese – la figura di Matilde ha più rilevanza in quanto donna di potere e la sua immagine è meno condizionata dalla patina ‘cattolica’ che c’è in Italia, dove invece è presentata soprattutto come ‘paladina’ del papato. Matilde è nel nostro paese meno ‘principessa indipendente’ che ‘figlia devota di Pietro’. Questa è una considerazione, con cento distinguo del caso, che riguarda la coscienza storica diffusa e non gli storici che ormai giudicano da tempo piuttosto autonomamente la figura della contessa. Ma la ricezione della loro visione è meno forte del radicamento delle immagini mitiche.

4) Tra i numerosi aspetti attraverso cui viene indagata la figura di Matilde, e i ruoli che nel corso della sua vita ella ha vissuto, ce n’è uno in particolare che secondo lei la rende più attuale o più interessante agli occhi di una donna di oggi?

Prima di cercare di rispondere nel merito, vorrei accennare al fatto che l’aspetto attualizzante che ho considerato presente nella biografia è un po’ più generale. Matilde costituisce un caso storico interessante per la sua posizione e la sua traiettoria, attraverso il quale si può rinviare alla questione della costruzione dell’identità e alla funzione dei ruoli di genere: e questo vale tanto per le ‘donne’ quanto per gli ‘uomini’, cioè per tutte le persone. Anche se si tratta di un caso fuori dal comune, la contessa è sotto questo punto di vista un esempio efficace per diffondere la visione gender che incontra invece tante resistenze in un paese profondamente conservatore come l’Italia.
Se poi devo considerare cosa potrebbe essere più interessante per le donne contemporanee, penso soprattutto alle tracce di alcune decisioni che Matilde ha preso come moglie e come donna di potere (tralascio invece la questione del ruolo di mediazione, che pure potrebbe avere risvolti attualizzanti). Premetto nuovamente che ne sappiamo pochissimo, soprattutto sul piano esistenziale. Tuttavia quando analizziamo le scarse fonti sui matrimoni e sulle successive separazioni di Matilde, queste ci lasciano supporre che la contessa prese in prima persona le decisioni di allontanarsi o di dividersi dai mariti, nonostante le pressioni di vario tipo, etico (una donna non lo poteva fare) e politico (in quel momento di tensione poteva essere non opportuno il farlo).
Si trattava di un orientamento al valore nel prendere le decisioni? Forse. In un altro contesto Donizone sembra descrivere così la decisione presa da Matilde nella celebre assemblea di Carpineti (1092). Di fronte alle pressioni dei suoi vassalli (e anche del marito Guelfo V, pur non menzionato nella fonte) per fare la pace con Enrico IV e di fronte al parere dei suoi consiglieri ecclesiastici e religiosi, che potevano legittimare un’eventuale scelta di opportunità da parte di Matilde a favore della pace, definendola ‘giusta’, la contessa prese invece la decisione di seguire l’unica voce discorde, quella profetica e carismatica dell’eremita Giovanni, che le disse di continuare a combattere. L’episodio raccontato da Donizone si può far interagire con la testimonianza di una lettera di Gregorio VII nella quale si descrive un’analoga situazione di Matilde di dieci anni precedente all’assemblea di Carpineti. Nella lettera a due dignitari ecclesiastici di area tedesca si accenna al fatto che i vassalli considerino Matilde una pazza: una pazza nel resistere militarmente al re, perché correva il rischio di perdere tutto.
Ecco, attualizzando, si potrebbe dire che Matilde era una donna determinata a non scendere a compromessi per difendere certi valori. Ma questa idea non è veramente suffragata: purtroppo non si può escludere l’ipotesi opposta che possa essere stata una pazza fanatica. In realtà non lo sapremo mai; forse fu entrambe e forse fu di volta in volta diversa: come noi stessi, attraversata da tensioni e contraddizioni nel cercare di prendere le decisioni nel corso della sua vita nello spazio di azione che gli era consentito, magari cercando di ampliarlo – questo sì –, come probabilmente alla fine fece.

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